Il Positivismo dà luogo, in letteratura, al Naturalismo francese di Zola e Maupassant ed al Verismo italiano di Verga e Capuana; entrambi i movimenti letterari si propongono di esaminare con freddo distacco, con resoconti impersonali, la cruda realtà della vita degli uomini.Il teatro d’opera risente dell’influsso di questi movimenti letterari e presta anch’esso attenzione alle vicende degli umili e dei diseredati: ricordiamo, in Francia, la Carmen di Bizet (1875), ambientata a Siviglia nel mondo dei contrabbandieri; in Italia la prima opera verista è Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni (prima rappresentazione a Roma nel 1890)
. L’opera, in un solo atto, è ispirata all’omonima novella di Verga; la vicenda, ambientata in Sicilia alla fine dell’Ottocento, narra del giovane Turiddu che, al rientro dal servizio militare, scopre che la sua fidanzata Lola si è sposata con Alfio. I due si affrontano in duello e Turiddu muore. Lo annuncia il tragico grido di una donna: “Hanno ammazzato compare Turiddu!”, divenuto celebre nella storia della lirica italiana perché non ha niente di “lirico”: si tratta infatti di un grido, non intonato, che costituisce uno degli aspetti caratteristici dello stile “verista”. Il teatro d’opera verista tende a gonfiare e forzare il canto, per esprimere la forza delle passioni, le ambientazioni popolari, le situazioni drammatiche. In altri momenti il canto esprime l’immediatezza del parlato, con degli ariosi pronti, però, a spezzarsi in singhiozzi, o in vere e proprie urla; ancora, abbiamo i momenti lirici, in cui si fa ricorso, più che alla forma classica dell’Aria, a forme strofiche (canzone, siciliana, stornello) legate alla musica popolare, a ritmi ballabili, a cori, che spesso sono proposti come “musica in scena” (ad es. il coro è il gruppo dei contadini che, nella finzione scenica, cantano una canzone).
Per quanto riguarda l’aderenza ai principi estetici che animano il Verismo letterario, nonostante le buone intenzioni, il teatro d’opera è carente: se lo scrittore può riuscire nell’intento di raccontare con occhio staccato le miserie, i problemi, i dolori degli uomini comuni, delle classi diseredate, l’operista non può, nell’azione scenica in musica, evitare di esprimere sentimenti, di evidenziare personalità, drammi interiori; non può evitare di rappresentare un ambiente seguendo i canoni del realismo pittoresco; l’ambiente stesso, con le sue miserie, diviene propulsore del dramma, determina lo scatenarsi di passioni incontrollate. In sintesi, un conto è raccontare, un conto è rappresentare scenicamente con la musica. Le due opere più famose del teatro “verista”, che spesso, per la loro brevità, vengono eseguite insieme, sono: “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni (1863-1945); “I Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo (1857-1919). Pietro Mascagni fu un compositore e direttore d'orchestra italiano (Livorno 1863-Roma 1945). Studiò dapprima a Livorno, poi, con Ponchielli, al Conservatorio di Milano, che lasciò dopo breve tempo per insofferenza alla disciplina scolastica. Dall'oscura posizione di direttore di banda a Cerignola lo trasse l'improvviso e clamoroso successo di Cavalleria rusticana con cui vinse nel 1889 il premio Sonzogno. Dal 1895 al 1902 diresse il Conservatorio di Pesaro, ma lasciò poi l'incarico per dedicarsi più intensamente alla composizione e alla direzione d'orchestra. La prorompente immediatezza, l'espansività melodica, la vocalità sfogata, la propensione al gesto violento e robusto, l'efficace facilità della vena di Cavalleria erano stati un fatto nuovo, non privo di autenticità pur nei suoi limiti e nella sua elementarità, nell'opera italiana del tempo: Mascagni parve aprire una moda e divenne caposcuola del verismo. Ma la fama di Mascagni rimane legata al successo di Cavalleria, anche se altre sue opere contengono pagine celebri, quali l'intermezzo da L'amico Fritz (1891), il sogno dal Guglielmo Ratcliff(1895), la sinfonia da Le maschere (1901), l'inno al sole dall'Iris. La produzione successiva non ha infatti la freschezza di Cavalleria rusticana e non apportò reali rinnovamenti ai caratteri essenziali del linguaggio di Mascagni, anche quando egli tentò l'idillio in L'amico Fritz, un medievalismo con suggestioni decadentistiche in Isabeau (1911) o in Parisina (su libretto di D'Annunzio, 1913), o ricerche echeggianti l'impressionismo nel simbolismo di Iris (1898). La produzione di Mascagni comprende inoltre le opere: I Rantzau (1892), Silvano(1895), Amica (1905), Lodoletta (1917), Il piccolo Marat (1921), Pinotta (1932), Nerone (1935), un'operetta, Sì(1919), una Cantata a G. Leopardi (1898), una Rapsodia satanica (1915), due sinfonie (1878 e 1881), il poema sinfonico Contemplando la Santa Teresa del Bernini (1922), molte melodie per canto e pianoforte.
Ruggero Leoncavallo compositore italiano (Napoli 1857-Montecatini 1919). Studiò musica al Conservatorio di Napoli e si laureò in lettere all'Università di Bologna, alla scuola di Carducci. La preparazione letteraria lo mise in grado di scrivere da sé i suoi libretti. Dopo alcuni anni trascorsi in Egitto e a Parigi, grazie alla protezione del baritono V. Maurel ottenne da Ricordi un assegno per musicare I Medici, che doveva essere l'inizio di una trilogia sul Rinascimento italiano e che fu rappresentata a Milano nel 1893, dopo che Leoncavallo ne aveva interrotto la composizione per scrivere in pochi mesi Pagliacci (eseguita a Milano nel 1892). Quest'opera, che gli diede il successo, si ispira a un fatto di cronaca e aderisce dichiaratamente a una poetica verista, sulle orme della Cavalleria rusticana di Mascagni. Di impostazione verista è anche Zazà (1900); altre strade Leoncavallo tentò nella Bohème (1897), dalla vena comico-sentimentale, nell'esotismo di Zingari (1912) , in Goffredo Mameli(1916), in Edipo re (1920). Si dedicò anche all'operetta, alla romanza da salotto e alla musica strumentale, rivelando estro ma senza riuscire a superare un linguaggio basato essenzialmente sullo slancio melodico di immediata efficacia, confinato nella problematica della “giovane scuola” italiana, tra influssi di Bizet, di Verdi e lontani echi di: Wagnern linguaggio che si realizzò nel modo più spontaneo e impetuoso nei Pagliacci, che sono la sua opera più fortunata e significativa.

. L’opera, in un solo atto, è ispirata all’omonima novella di Verga; la vicenda, ambientata in Sicilia alla fine dell’Ottocento, narra del giovane Turiddu che, al rientro dal servizio militare, scopre che la sua fidanzata Lola si è sposata con Alfio. I due si affrontano in duello e Turiddu muore. Lo annuncia il tragico grido di una donna: “Hanno ammazzato compare Turiddu!”, divenuto celebre nella storia della lirica italiana perché non ha niente di “lirico”: si tratta infatti di un grido, non intonato, che costituisce uno degli aspetti caratteristici dello stile “verista”. Il teatro d’opera verista tende a gonfiare e forzare il canto, per esprimere la forza delle passioni, le ambientazioni popolari, le situazioni drammatiche. In altri momenti il canto esprime l’immediatezza del parlato, con degli ariosi pronti, però, a spezzarsi in singhiozzi, o in vere e proprie urla; ancora, abbiamo i momenti lirici, in cui si fa ricorso, più che alla forma classica dell’Aria, a forme strofiche (canzone, siciliana, stornello) legate alla musica popolare, a ritmi ballabili, a cori, che spesso sono proposti come “musica in scena” (ad es. il coro è il gruppo dei contadini che, nella finzione scenica, cantano una canzone).
Per quanto riguarda l’aderenza ai principi estetici che animano il Verismo letterario, nonostante le buone intenzioni, il teatro d’opera è carente: se lo scrittore può riuscire nell’intento di raccontare con occhio staccato le miserie, i problemi, i dolori degli uomini comuni, delle classi diseredate, l’operista non può, nell’azione scenica in musica, evitare di esprimere sentimenti, di evidenziare personalità, drammi interiori; non può evitare di rappresentare un ambiente seguendo i canoni del realismo pittoresco; l’ambiente stesso, con le sue miserie, diviene propulsore del dramma, determina lo scatenarsi di passioni incontrollate. In sintesi, un conto è raccontare, un conto è rappresentare scenicamente con la musica. Le due opere più famose del teatro “verista”, che spesso, per la loro brevità, vengono eseguite insieme, sono: “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni (1863-1945); “I Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo (1857-1919). Pietro Mascagni fu un compositore e direttore d'orchestra italiano (Livorno 1863-Roma 1945). Studiò dapprima a Livorno, poi, con Ponchielli, al Conservatorio di Milano, che lasciò dopo breve tempo per insofferenza alla disciplina scolastica. Dall'oscura posizione di direttore di banda a Cerignola lo trasse l'improvviso e clamoroso successo di Cavalleria rusticana con cui vinse nel 1889 il premio Sonzogno. Dal 1895 al 1902 diresse il Conservatorio di Pesaro, ma lasciò poi l'incarico per dedicarsi più intensamente alla composizione e alla direzione d'orchestra. La prorompente immediatezza, l'espansività melodica, la vocalità sfogata, la propensione al gesto violento e robusto, l'efficace facilità della vena di Cavalleria erano stati un fatto nuovo, non privo di autenticità pur nei suoi limiti e nella sua elementarità, nell'opera italiana del tempo: Mascagni parve aprire una moda e divenne caposcuola del verismo. Ma la fama di Mascagni rimane legata al successo di Cavalleria, anche se altre sue opere contengono pagine celebri, quali l'intermezzo da L'amico Fritz (1891), il sogno dal Guglielmo Ratcliff(1895), la sinfonia da Le maschere (1901), l'inno al sole dall'Iris. La produzione successiva non ha infatti la freschezza di Cavalleria rusticana e non apportò reali rinnovamenti ai caratteri essenziali del linguaggio di Mascagni, anche quando egli tentò l'idillio in L'amico Fritz, un medievalismo con suggestioni decadentistiche in Isabeau (1911) o in Parisina (su libretto di D'Annunzio, 1913), o ricerche echeggianti l'impressionismo nel simbolismo di Iris (1898). La produzione di Mascagni comprende inoltre le opere: I Rantzau (1892), Silvano(1895), Amica (1905), Lodoletta (1917), Il piccolo Marat (1921), Pinotta (1932), Nerone (1935), un'operetta, Sì(1919), una Cantata a G. Leopardi (1898), una Rapsodia satanica (1915), due sinfonie (1878 e 1881), il poema sinfonico Contemplando la Santa Teresa del Bernini (1922), molte melodie per canto e pianoforte.
Ruggero Leoncavallo compositore italiano (Napoli 1857-Montecatini 1919). Studiò musica al Conservatorio di Napoli e si laureò in lettere all'Università di Bologna, alla scuola di Carducci. La preparazione letteraria lo mise in grado di scrivere da sé i suoi libretti. Dopo alcuni anni trascorsi in Egitto e a Parigi, grazie alla protezione del baritono V. Maurel ottenne da Ricordi un assegno per musicare I Medici, che doveva essere l'inizio di una trilogia sul Rinascimento italiano e che fu rappresentata a Milano nel 1893, dopo che Leoncavallo ne aveva interrotto la composizione per scrivere in pochi mesi Pagliacci (eseguita a Milano nel 1892). Quest'opera, che gli diede il successo, si ispira a un fatto di cronaca e aderisce dichiaratamente a una poetica verista, sulle orme della Cavalleria rusticana di Mascagni. Di impostazione verista è anche Zazà (1900); altre strade Leoncavallo tentò nella Bohème (1897), dalla vena comico-sentimentale, nell'esotismo di Zingari (1912) , in Goffredo Mameli(1916), in Edipo re (1920). Si dedicò anche all'operetta, alla romanza da salotto e alla musica strumentale, rivelando estro ma senza riuscire a superare un linguaggio basato essenzialmente sullo slancio melodico di immediata efficacia, confinato nella problematica della “giovane scuola” italiana, tra influssi di Bizet, di Verdi e lontani echi di: Wagnern linguaggio che si realizzò nel modo più spontaneo e impetuoso nei Pagliacci, che sono la sua opera più fortunata e significativa.

Anche in quest'opera,come in "Cavalleria Rusticana" è forte il tema della gelosia portata alle sue conseguenze più estreme e come nell'opera di Mascagni, anche in "Pagliacci" tutti i drammi dei protagonisti sono sottolineati attraverso una perfetta fusione di testo e musica(Leoncavallo fu anche librettista della sua opera) in un crescendo sonoro di tensioni armoniche e dinamiche fino alla scena finale.La frase di chiusura"La commedia è finita"può essere considerata un marchio verista proprio come lo è "hanno ammazzato compare Turiddu"in Cavalleria. A rendere unica quest'opera però,è la sua tridimensionalità(il teatro nel teatro precursore di molti futuri filoni cinematografici) e la finzione che si fa drammaticamente realtà con le sue tragiche conseguenze.
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