Gioachino Rossini domina con la sua fama il mondo operistico italiano ed europeo per tutta la prima metà dell’Ottocento. Il suo nome è legato principalmente all’opera buffa, in particolare al Barbiere di Siviglia, ma Rossini è egualmente importante come compositore di opere serie, alle quali dà la forma rimasta in vigore fino al 1870 circa. Malgrado l’enorme successo, la sua carriera di operista s’interrompe nel 1829 con il Guillaume Tell, che apre al melodramma nuove prospettive romantiche. Dopo quest’opera egli si ritira dalle scene, trascorrendo lunghi anni – definiti del “silenzio rossiniano” – tra l’Italia e Parigi, circondato dalla stima e dal rispetto di musicisti e intellettuali di ogni nazionalità. In questi anni si dedica per suo diletto a comporre brani da camera, sia vocali sia strumentali, che appaiono oggi stupefacenti per l’ironia che anticipa certe esperienze del Novecento.
Generi e forme del teatro d’opera ai tempi di Rossini
Oggi il nome di Gioachino Rossini evoca immediatamente il mondo dell’opera buffa. Ma, quando Rossini muove i suoi primi passi come musicista, i generi operistici in auge sulle scene italiane sono due, ereditati principalmente dal Settecento, e con caratteristiche ben distinte: l’opera seria e l’opera buffa. Rossini è l’ultimo operista dell’Ottocento a frequentare in eguale misura i due generi che hanno ormai acquisito la medesima dignità.
A partire dagli anni Trenta invece, il gusto del pubblico muta radicalmente e all’ambientazione quotidiana e prosaica che caratterizza l’opera buffa si preferiscono i finali tragici, i conflitti insanabili e gli amori impossibili; le scene italiane vedono così prevalere l’opera seria. Questo cambiamento è preannunciato dallo stesso Rossini: egli scrive 39 opere tra le quali, escludendo quelle del periodo parigino, 14 buffe e 18 serie; le opere buffe sono concentrate quasi tutte nel periodo iniziale della sua attività, tra il 1810 – anno del suo debutto come autore di farse, ossia opere in un atto – e il 1817, anno nel quale scrive un capolavoro del genere buffo, La Cenerentola. Ma già dal 1815, anno del primo contratto con il Teatro San Carlo di Napoli, egli dedica le sue energie principalmente alle opere serie.
Quando Rossini compare sulla scena, opera seria e opera buffa vivono un momento di crisi; i modelli settecenteschi, infatti, si sono progressivamente esauriti, e i maggiori compositori italiani sono morti, come ad esempio Cimarosa, o si sono trasferiti all’estero come Paisiello, Spontini e Cherubini. Malgrado ciò il teatro è sempre al centro della vita sociale, la richiesta di nuove opere è incessante e quindi c’è largo spazio per un giovane dotato d’inventiva e capacità.
L’intervento di Rossini sui modelli settecenteschi sta soprattutto nella contaminazione dei due generi, che progressivamente si avvicinano. L’opera seria dell’Ottocento si arricchisce così di brani d’insieme, le arie solistiche diminuiscono e, al pari dei duetti, assumono una forma più duttile, adatta a esprimere sentimenti non stereotipati. L’opera buffa d’altro canto assorbe molte strutture formali di quella seria, adottando uno stile di canto più virtuosistico e nobile. I personaggi buffi di Rossini non sono più i tipi derivati dalla commedia dell’arte, ma individui dotati di una fisionomia caratteristica, basti pensare a Figaro o a Rosina nel Barbiere.
L’opera buffa
L’ascesa del giovane Rossini come compositore “buffo” è fulminea, e la sua attività frenetica. Il debutto avviene nel 1810 con la farsa La cambiale di matrimonio, rappresentata nel piccolo Teatro San Moisè di Venezia che gli commissiona altre quattro opere. Ma il suo primo grande successo è La pietra del paragone (1812), scritta per la Scala, quando è appena ventenne. Sin da questi primi esempi la fisionomia musicale di Rossini è chiaramente delineata: l’impulso ritmico, l’uso buffonesco delle parole e un’orchestrazione più ricca, che gli procura l’accusa di “fracassista” o “tedeschino”, sono i caratteri di uno stile che lo rendono subito popolare e riconoscibile tra gli operisti dell’epoca.
Anche la sinfonia rossiniana presenta dagli esordi la sua tipica struttura: in forma-sonata priva di sviluppo, spesso preceduta da un largo e con il famoso crescendo agganciato al primo tema. Questa struttura viene adoperata indifferentemente per le opere buffe e per le opere serie, anzi, una sinfonia pensata per un tipo di opera viene usata per l’altro tipo, come quella del Barbiere di Siviglia, originariamente composta per l’opera seria Aureliano in Palmira e adoperata anche per Elisabetta regina d’Inghilterra.
Il primo capolavoro comico di Rossini arriva immediatamente nel 1813 con L’italiana in Algeri, un libretto di Angelo Anelli che sposa il gusto per le “turcherie” con situazioni di comicità irresistibile.
In Rossini il finale primo assume proporzioni più ampie e un’importanza maggiore.
L’opera seria
Lo stesso anno dell’Italiana, e sempre per Venezia, Rossini scrive la sua prima opera seria di successo, Tancredi, su libretto di Gaetano Rossi, tratto da una tragedia di Voltaire. Anche per l’opera seria esiste una tradizione ben consolidata, benché in crisi da lungo tempo: il problema da risolvere è fondamentalmente quello della drastica dicotomia tra recitativo – il momento dell’azione – e aria, il momento lirico, espressione dei sentimenti o, come si dice in questo periodo, degli “affetti”.
La rigida alternanza tra questi due momenti, tipica dell’opera settecentesca, non soddisfa più le esigenze del pubblico, né dei compositori. Rossini codifica allora l’uso di una struttura più fluida, fornendo le basi all’opera di Donizetti, Bellini e Verdi. La tipica struttura rossiniana, che rimane in vigore fino al 1870 circa, è quella in quattro tempi: tempo di attacco, adagio o cantabile, tempo di mezzo e cabaletta; essi sono preceduti da una scena, costituita in genere da un recitativo. In questo schema cantabile e cabaletta corrispondono al momento lirico, mentre tempo di attacco e tempo di mezzo corrispondono al momento dinamico, ma forniscono un materiale più fluido della vecchia accoppiata aria-recitativo. Tale schema viene usato sia per le arie, sia per i duetti e sia per i brani d’insieme, come i finali d’atto.
La più famosa cabaletta di Rossini è quella di Tancredi nell’opera omonima, “Di tanti palpiti”. Brano di estremo virtuosismo, cavallo di battaglia di tante interpreti, ha dato vita a uno dei numerosi aneddoti sulla facilità nel comporre di Rossini. Si racconta infatti che l’abbia scritta nell’attesa di un risotto, ed è detta per questo “aria dei risi”.
Tancredi segna un momento importante nella produzione rossiniana, ma la carriera di operista “serio” subisce una svolta dopo l’incontro con l’impresario milanese Domenico Barbaja, che gestisce il Teatro San Carlo di Napoli, uno dei più prestigiosi in Italia. Barbaja lo pone subito sotto contratto, dapprima come compositore e in seguito come direttore artistico. Per Napoli Rossini compone solo opere serie, a cominciare da Elisabetta regina d’Inghilterra (1815). In quest’opera, Rossini abolisce l’uso dei recitativi secchi, che bandisce d’ora in poi dalle opere serie, e abolisce o muta radicalmente le sinfonie che perdono la loro funzione di rumoroso invito all’ascolto.
Al vertice della produzione seria di Rossini si trova Semiramide, anche questa su libretto di Rossi tratto da Voltaire, composta per il Teatro La Fenice di Venezia nel 1823. Rossini dedica alla sua composizione più tempo del consueto, e il risultato è una specie di summa dell’opera seria italiana.
L’opera semiseria
Rossini coltiva anche un terzo genere, quello semiserio, che alla fine del Settecento si affianca ai due generi principali.
L’opera semiseria condivide l’ambientazione quotidiana e le forme dell’opera buffa, mentre con l’opera seria ha in comune l’argomento drammatico. Il capolavoro di Rossini in questo genere è La gazza ladra (1817), ispirato a un episodio realmente avvenuto. L’opera è oggi raramente rappresentata, mentre la sua sinfonia è uno dei brani più celebri e viene generalmente presa ad esempio dell’allegria e della vitalità ritmica che contraddistinguono lo stile rossiniano.
Rossini a Parigi (1824-1836)
Con Semiramide Rossini chiude di fatto la sua carriera italiana. In quello stesso anno lascia l’Italia per una trionfale tournée a Parigi e a Londra. Rossini ha 31 anni e ha composto finora 34 opere ma da questo momento la sua produzione subisce un rallentamento. Egli accetta l’incarico di “direttore della musica” del Théâtre Italien, assumendo l’impegno di allestire le sue opere e quelle di altri musicisti italiani, e in questa veste favorirà non poco, e con generosità non comune, i giovani Bellini e Donizetti.
Per il maggior teatro parigino, l’Opéra, Rossini scrive appena due opere nuove: l’opéra-comique Le comte Ory (1828) e il Guillaume Tell (1829).
Il Guillaume Tell a chiude la parabola rossiniana e ad aprire contemporaneamente la strada ai compositori successivi.
Esso condivide i caratteri del neonato grand-opéra e dell’opera romantica: il soggetto patriottico, il sentimento della natura, l’uso di melodie popolari, la moderazione del virtuosismo (sono pochissime le arie solistiche) e la predominanza del coro.
Anche la sua sinfonia è diversa da tutte quelle precedentemente scritte, per la forma (quattro tempi senza interruzione) e per l’intento programmatico di anticipare l’atmosfera dell’opera. Merita rilievo l’uso di temi popolari, in particolare il ranz des vaches (ridda delle vacche), una melodia usata dai pastori svizzeri: Rossini non si limita a riprodurla, ma ne fa un elemento di omogeneità, deducendone degli elementi che utilizza in diversi luoghi dell’opera.
Gli anni del silenzio
Dopo il 1829 Rossini non compone più nulla per il teatro. Solo dopo il ritorno a Parigi, nel 1855, Gioachino ritroverà le forze e la voglia di dedicarsi alla musica. Il suo salotto si apre ogni sabato a intellettuali e artisti del calibro di Delacroix, Liszt, Chopin, Meyerbeer, e in quella occasione vengono eseguiti i brani, sia vocali sia strumentali, che Rossini non pensa nemmeno di pubblicare e che chiama, con deliziosa ironia, i suoi Péchés de vieillesse, peccati di vecchiaia. Sono in tutto 13 volumi di composizioni vocali e pianistiche.
Il maggiore dei “peccati” del vecchio compositore, e uno dei suoi capolavori, è la Petite messe solennelle(1863). Anch’essa viene composta senza una specifica committenza, e la prima esecuzione avviene in forma strettamente privata, nel salotto della contessa Pillett-Will.
Commoventi sono le parole che Rossini appone sulla partitura: “Buon Dio, ecco terminata questa povera piccola Messa. È della musica sacra quella che ho scritto, o della musica sacrilega? Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene! un po’ di scienza, un po’ di cuore, tutto qua. Tu sia dunque benedetto, e accorda a me il Paradiso”.
La vocalità in Rossini
La vocalità rossiniana è ancora strettamente legata all’ideale belcantistico che vede il primato della voce sulle altre componenti dell’opera: il cantante è coautore insieme al compositore e nelle sue arie è libero di improvvisare. Con Rossini, che incomincia a scrivere tutte le colorature, si chiude la fase dello strapotere del cantante; tuttavia la melodia rossiniana rimane essenzialmente vocale, vale a dire si esprime al meglio attraverso le caratteristiche della voce umana, e il piacere della bellezza della voce rimane il centro della sua poetica. Alla voce di soprano preferisce il contralto e al tenore il basso che porta verso l’acuto, anticipando l’odierno baritono. Figaro rappresenta l’ideale di voce maschile, mentre il Lindoro dell’Italiana, che ha la tessitura tenorile più acuta fra tutti i personaggi di Rossini, come tutti i tenori rossiniani è confinato nel ruolo di “amoroso”. Isabella e Rosina hanno una voce da donna matura, col proprio punto di forza nel registro medio, ma con la capacità di ascendere agli acuti.
Al posto degli evirati, Rossini adopera il contralto en travesti, come nei personaggi di Tancredi nell’opera omonima, di Malcom nella Donna del lago, di Arsace in Semiramide.
Per la peculiarità di questo stile di canto, è solo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento che l’opera di Rossini è stata rivalutata in toto, grazie all’attività della Fondazione Rossini di Pesaro e all’avvento di alcune cantanti come Joan Sutherland, Maria Callas, Marilyn Horne in grado di affrontare l’ardua vocalità belcantistica.
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