Le vicende dell’oratorio musicale che si sviluppa in Italia nella prima metà del Seicento su una tradizione di pratiche devozionali consolidata nel secolo precedente, sono strettamente legate a quelle del melodramma. L’oratorio ne assume infatti gradualmente i caratteri presentandosi come una sorta di traduzione in chiave sacra del melodramma stesso. Nella seconda metà del Seicento l’oratorio musicale si diffonde dall’Italia in altre regioni d’Europa, e soprattutto nei Paesi cattolici.
Nel XVI secolo presso la Congregazione dell’Oratorio si praticano i cosiddetti “Esercizi dell’Oratorio”, efficacemente descritti da Cesare Baronio, discepolo di Filippo Neri.
Gli “Esercizi dell’Oratorio” si diffondono ben presto in altri oratori romani; la pratica musicale ne è parte integrante: col canto comunitario delle laudi, ma anche con l’ascolto di brani eseguiti da musicisti pagati dalla Congregazione dell’Oratorio.
Le musiche delle laudi possono essere espressamente composte per intonare testi a soggetto religioso, oppure mutuate da canti profani di dominio comune: e la conoscenza diffusa delle melodie incoraggia i partecipanti agli Esercizi alla pratica del canto comunitario.
Tra il 1563 e il 1600 vengono stampate numerose raccolte di laudi, composte appositamente per l’oratorio di Filippo Neri soprattutto da Giovanni Animuccia.
Fin dai primi anni del Seicento lo stile musicale degli oratori viene sempre più accostandosi al gusto operistico, in accordo con la crescente fortuna del melodramma. Le nuove tendenze musicali espresse dalla Camerata di Firenze influenzano in maniera determinante i repertori musicali dell’oratorio romano.
Gli esercizi spirituali fondati da Filippo Neri si trasformano progressivamente in occasioni musicali nelle quali, pur senza perdere di vista il significato spirituale, il godimento estetico diviene l’aspetto prevalente.
A Roma le messe in scena di melodrammi nel primo Seicento hanno per mecenati soprattutto i Barberini anche nella persona del cardinale Antonio. È facile comprendere come si articoli, in questa città e sotto l’influsso di questa committenza, la fusione tra generi musicali profani e forme sacre.
La cultura dell’epoca mira a conciliare la riscoperta della cultura classica col pensiero cristiano e con la propaganda della Controriforma.
La musica che accompagna i testi sacri, pur rivolta a lodare il Signore, ammicca anche, nell’utilizzare il recitar cantando, ai fasti del passato classico che si vuol far rivivere, negli edifici sacri come sui palchi dei teatri, nelle illustrazioni di scene bibliche come negli affreschi che rievocano sulle pareti dei palazzi una favoleggiata età dell’oro.
La storia dell’oratorio musicale nel Seicento è, in buona misura, la storia della penetrazione di forme del teatro musicale profano in pratiche devozionali già esistenti, nelle quali la parte musicale era assolta dal canto collettivo delle laude in volgare e dei mottetti in latino.
L’oratorio musicale si svilupperà, nel corso del secolo, in due direzioni diverse, seppure contigue: l’oratorio in volgare, che ha come antecedente più immediato la lauda, e l’oratorio in latino, che affonda le sue radici nelle vicende del mottetto, e si rivolge a un pubblico più ristretto e più colto. Queste due forme, se pure diverse sul piano della lingua e, in parte, su quello dell’ambiente di destinazione, seguono il medesimo iter per quanto riguarda lo sviluppo della struttura musicale.
Nel primo ventennio del Seicento le composizioni scritte per gli Esercizi spirituali dell’oratorio sono sempre più spesso in forma di dialogo, adatte a essere drammatizzate con un’esecuzione affidata a due o più cantanti, ciascuno dei quali dà vita, con la propria voce, a un personaggio diverso.
Ai personaggi dialoganti si aggiunge di frequente un’altra figura drammatica, sia essa rappresentata da un solo esecutore o da un coro: quella del narratore, cui è affidato il compito di legare le parti eseguite dai cantanti inserendole in una logica successione di eventi.
Anche se la Rappresentatione di Anima et di Corpo di Emilio De Cavalieri non è ancora un oratorio musicale in senso proprio, pure la sua messa in scena (Roma, 1600) segna l’inizio della pratica di mettere in musica e drammatizzare testi sacri con il nuovo stile del recitar cantando nel modo che diventerà proprio dell’oratorio secentesco.
È del 1619 il Teatro armonico spirituale di Giovan Francesco Anerio (1567-1630), una raccolta di madrigali spirituali destinati a essere eseguiti durante gli Esercizi oratoriali.La maggioranza dei testi del Teatro armonico spirituale è a struttura dialogica e ha spunti drammatici. La musica del Teatro, in generale, mutua il suo carattere da quello del madrigale del tempo. Sebbene nel Teatro non compaiano recitativi veri e propri, molti passaggi sono caratterizzati da uno stile declamatorio che ricorda in certa misura il recitar cantando che l’oratorio musicale degli anni successivi mutuerà dal melodramma.
I luoghi deputati all’esecuzione degli oratori musicali, che adesso non sono più soltanto gli oratori o le chiese, ma anche i palazzi signorili o le loro corti, assumono in quelle occasioni la funzione di vere e proprie sale da concerto.
È Giacomo Carissimi (1605-1674) a portare a piena maturazione la forma dell’oratorio musicale, quale rimarrà in uso nei decenni successivi. Negli oratori di Carissimi la differenziazione formale tra aria e recitativo è meno netta di quanto non accada nelle cantate da lui stesso composte. Si ritrova comunque anche qui lo stile del belcanto, che sottolinea i rapporti di questa produzione oratoriale con le tendenze emergenti della tradizione vocale profana.
Con Alessandro Stradella (1639-1682) l’oratorio della seconda metà del Seicento raggiunge la sua forma più compiuta. Stradella, col quale in ambito strumentale inizia la fortuna del concerto grosso, sperimenta dapprima nell’oratorio S. Giovanni Battista la suddivisione della compagine orchestrale in concertino e concerto grosso.
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