Nel primo dopoguerra Schönberg lavorò a un oratorio, Die Jakobsleiter (La scala di Giacobbe), rimasto incompiuto, ed elaborò il metodo dodecafonico, in cui ravvisava la soluzione necessaria a dare nuova coerenza costruttiva alle composizioni senza ritornare alle vecchie gerarchie tonali. Nei suoi lavori Schönberg usa questo metodo come uno strumento di controllo della distruzione dei nessi tonali (o eventualmente di un loro recupero minimale) e in funzione di una sorta di ultratematizzazione volta a ridurre tutta una composizione a una cellula unitaria, facendo peraltro coesistere la dodecafonia con il ritorno alle strutture formali tradizionali che negli anni precedenti aveva più radicalmente messo in discussione.I lavori di questo periodo sono le Variazioni op. 31 per orchestra (1926-28), la Suite op. 25 per pianoforte (1921-23) e il Quintetto op. 26 per strumenti a fiato (1923-24). In Schönberg sono sempre coesistite arditezze innovatrici e profondi legami con la tradizione: la tensione derivante da tale duplice aspetto, che lo ha fatto definire “conservatore rivoluzionario”, è sempre un elemento caratterizzante della sua poetica, ne sono un esempio il Concerto per violino, 1936; Ode a Napoleone, 1942; Concerto per pianoforte, 1942.Nelle opere degli ultimi anni viene superata anche questa fase in una serie di capolavori che recuperano un'eccezionale libertà creativa, facendo proprie tutte le esperienze precedenti e facendo rivivere alla loro luce l'arditezza inventiva degli anni dell'espressionismo; si ricordano in particolare il Trio op. 45 (1946), De Profundis (1949), A Survivor from Warsaw (1947; Un sopravvissuto di Varsavia). Incompiuto è rimasto uno dei massimi vertici della produzione di Schönberg, Moses und Aron (Mosè e Aronne), i cui due atti portati a termine (1930-32) rappresentano uno dei testi più alti e significativi del teatro musicale del sec. XX (prima rappresentazione postuma a Zurigo nel 1957). 
La Dodecafonia è una tecnica di composizione musicale attuata da Arnold Schönberg, che la definì “metodo per comporre con 12 suoni riferiti solo l'uno all'altro”. Essa presuppone la rottura dell'ordinamento tonale e delle sue gerarchie e costituisce una sorta di organizzazione dell'atonalità. Schönberg pubblicò nel 1923 il suo primo pezzo dodecafonico e a lui e ai suoi allievi A. Berg e A. Webern si deve la concreta formulazione della dodecafonia come momento fondamentale nella storia della musica del Novecento; ma intorno al 1920 anche J. M. Hauer e H. Eimert studiarono la teorizzazione di metodi analoghi. Secondo Schönberg la dodecafonia rappresenta la nuova organizzazione dopo che l'atonalità espressionista aveva sciolto tutti i nessi linguistici e fonda la sua necessità storica sulla saturazione dello spazio tonale. Un brano dodecafonico si basa su una serie comprendente le 12 note della scala temperata. La serie può essere usata nella disposizione originale, a ritroso (dall'ultima nota alla prima), invertendo la direzione degli intervalli, e nel ritroso dell'inversione. Accanto a questi procedimenti fondamentali, ispirati alle antiche tecniche contrappuntistiche, ve ne sono altri; inoltre la serie serve a organizzare il pezzo anche per quanto riguarda gli incontri armonici delle note: si applica cioè in senso verticale come in senso orizzontale. Il rispetto dell'ordine delle 12 note stabilito nella serie serve a garantire la distruzione di ogni gerarchia fra loro: in questo senso la dodecafonia non contraddice l'atonalità espressionista, ma la radicalizza, fornendo al compositore una sorta di sistema di controllo. La dodecafonia, accolta in accezioni profondamente diverse, caratterizza dopo il 1920 la produzione di Schönberg, Berg e Webern, che hanno scritto con questo metodo i capolavori della piena e tarda maturità, e hanno trovato seguaci in E. Krenek, L. Dallapiccola e molti altri. Intorno al 1950 si operò, da parte dei più giovani compositori, un superamento della dodecafonia mediante l'applicazione della serie non solo alle altezze delle note, ma anche al ritmo, al timbro, alla dinamica e ad altre dimensioni del fatto musicale.
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