Per cominciare, conviene sgomberare subito il campo da un possibile equivoco. Quando si parla di forma sonata di solito non si intende parlare della “forma della sonata”, cioè dello schema costituito dai diversi tempi (o “movimenti” ) in cui si articola una sonata, ma si indica la struttura di un singolo pezzo. Un “Allegro” ad esempio può essere scritto in forma sonata, ma può trattarsi ad esempio
del primo tempo di un quartetto, di una sinfonia, o di qualsiasi altra composizione. All’interno di una sonata o di una sinfonia, articolata in tre o quattro movimenti, la forma sonata può essere utilizzata in uno solo dei movimenti o in diversi movimenti; in casi eccezionali addirittura nessuno dei movimenti di una sonata potrebbe essere scritto in “forma sonata”.Per meglio capire lo schema formale e armonico riporto lo schema qui . Un esempio di forma sonata molto semplice è la sonata in Do maggiore n°16 di Mozart della quale riporto una video lezione a questo link .
venerdì 4 agosto 2017
La Polifonia rinascimentale:G.P.da Palestrina
Giovanni Pierluigi da Palestrina nasce vicino Roma attorno al 1525. Muore nel 1594, in una affollata cerimonia funebre viene sepolto in San Pietro sotto la Cappella Nuova e la sua bara reca l’iscrizione “Princeps Musicae”.
Giovanni Pierluigi (questo il vero cognome), conosciuto semplicemente come “Palestrina”, è senz’altro il più famoso rappresentante della Scuola Romana, così chiamata per l’attività svolta da un gruppo di musicisti legati con la Santa Sede e con la Cappella musicale pontificia.
La Scuola Romana si colloca fra il XVI e il XVII secolo e si caratterizza per uno stile ancora legato alla tradizione gregoriana, a differenza della Scuola Veneziana le cui musiche erano più innovatrici.
Palestrina è una pietra miliare nella storia della musica; compositore prolifico, le sue opere tutt'oggi sono considerate capolavori della Polifonia.
Il corpus musicale palestriniano è scritto prevalentemente ad uso liturgico: per la Messa e l’Ufficio, la maggior parte delle sue composizioni appartengono al periodo dell’incarico nella Basilica di San Pietro in Vaticano.
Il linguaggio polifonico di Palestrina è sullo stile tradizionale dei maestri franco fiamminghi (che furono i suoi primi maestri a Roma); la sua arte contrappuntistica si sviluppa soprattutto in direzione di una migliore intelligibilità delle parole e di una sonorità ordinata, in netto contrasto con i canoni seguiti dalla Scuola Veneziana (G. Gabrieli in particolare).
Le linee melodiche risentono l’influsso del canto gregoriano e più di un terzo delle sue Messe è strutturato con la cosiddetta tecnica “a parafrasi”, cioè l’utilizzo anche parziale di un inno come tema di sviluppo per la melodia (es. l’inno che inizia con le parole “Aeterna Christi munera” costituisce il tema per la Messa che porta lo stesso nome). In poche composizioni si attiene al metodo tradizionale di utilizzare un tema come “cantus firmus”, cioè un tema esposto uniformemente con note lunghe sulle quali sovrapporre l’intrecciarsi delle altre voci. Pochissime Messe invece non devono alcunchè a modelli preesistenti, e per semplicità e chiarezza spicca la “Missa Papae Marcelli”, dedicata al Papa marcello II.
Quì la maestria di Palestrina nella scrittura contrappuntistica viene messa in evidenza dalla bellezza delle linee melodiche, con linee armoniche che sviluppano sottili contrasti tra dissonanze e assonanze, dove la tensione si alterna alla pacatezza.
La musica di Palestrina ci sorprende, intanto, per il modo naturale e pacato con il quale coinvolge l’ascoltatore, e ancora di più per il suo senso di distacco fuori dal tempo come fosse priva di una personalità specifica.
La Scuola Romana si colloca fra il XVI e il XVII secolo e si caratterizza per uno stile ancora legato alla tradizione gregoriana, a differenza della Scuola Veneziana le cui musiche erano più innovatrici.
Palestrina è una pietra miliare nella storia della musica; compositore prolifico, le sue opere tutt'oggi sono considerate capolavori della Polifonia.
Il corpus musicale palestriniano è scritto prevalentemente ad uso liturgico: per la Messa e l’Ufficio, la maggior parte delle sue composizioni appartengono al periodo dell’incarico nella Basilica di San Pietro in Vaticano.
Il linguaggio polifonico di Palestrina è sullo stile tradizionale dei maestri franco fiamminghi (che furono i suoi primi maestri a Roma); la sua arte contrappuntistica si sviluppa soprattutto in direzione di una migliore intelligibilità delle parole e di una sonorità ordinata, in netto contrasto con i canoni seguiti dalla Scuola Veneziana (G. Gabrieli in particolare).
Le linee melodiche risentono l’influsso del canto gregoriano e più di un terzo delle sue Messe è strutturato con la cosiddetta tecnica “a parafrasi”, cioè l’utilizzo anche parziale di un inno come tema di sviluppo per la melodia (es. l’inno che inizia con le parole “Aeterna Christi munera” costituisce il tema per la Messa che porta lo stesso nome). In poche composizioni si attiene al metodo tradizionale di utilizzare un tema come “cantus firmus”, cioè un tema esposto uniformemente con note lunghe sulle quali sovrapporre l’intrecciarsi delle altre voci. Pochissime Messe invece non devono alcunchè a modelli preesistenti, e per semplicità e chiarezza spicca la “Missa Papae Marcelli”, dedicata al Papa marcello II.
Quì la maestria di Palestrina nella scrittura contrappuntistica viene messa in evidenza dalla bellezza delle linee melodiche, con linee armoniche che sviluppano sottili contrasti tra dissonanze e assonanze, dove la tensione si alterna alla pacatezza.
La musica di Palestrina ci sorprende, intanto, per il modo naturale e pacato con il quale coinvolge l’ascoltatore, e ancora di più per il suo senso di distacco fuori dal tempo come fosse priva di una personalità specifica.
L'Ideale romantico: Robert Schumann
Il grande romantico
Romanticismo musicale e Robert Schumann sono diventati un binomio indissolubile. Il grande compositore tedesco, che visse i decenni centrali dell’Ottocento, espresse – soprattutto attraverso il pianoforte – una dirompente carica musicale e ideale, e raggiunse altissimi vertici poetici.
Tra letteratura e musica
Robert Schumann, il rappresentante più emblematico del romanticismo musicale, nacque in Sassonia,nel 1810. In lui, durante l’adolescenza, coabitarono due vocazioni distinte ma di uguale intensità, quella musicale e quella poetico-letteraria.
Intorno agli anni Trenta la vocazione musicale prese deciso sopravvento: Schumann abbandonò il corso universitario di giurisprudenza e si dedicò con intensa assiduità allo studio della composizione e del pianoforte a Lipsia. Nel giro di sei anni, dal 1830 al 1836, compose una serie di importanti brani pianistici: Papillons, Sei intermezzi, Carnaval, Sonata in fa diesis minore, Studi sinfonici e il primo straordinario vertice, la Fantasia in do maggiore.
Il critico e il virtuoso
I titoli dei suoi componimenti rivelavano, già di per sé stessi, un compositore fuori dalle consuetudini tradizionali di generi e forme. Siamo di fronte a una personalità in cui si intrecciano intenzioni professionali, interessi culturali e passioni esecutive profondamente legati al pianoforte, strumento di cui Schumann voleva innanzi tutto impossessarsi come concertista anzi, secondo il costume del tempo, come virtuoso
Schumann era un artista dotato anche di febbrile attività intellettuale, culturale e critica. Si legò in grande amicizia con Felix Mendelssohn-Bartholdy. Sempre a Lipsia, nel 1833, fondò un periodico di critica, la Nuova rivista musicale, che aveva l’intento di debellare le più pigre consuetudini dei consumatori di musica tradizionale. Schumann definì costoro «folla di filistei» e nella sua polemica usò l’espediente molto romantico di presentare i suoi sentimenti, concetti, idee, aspirazioni firmando gli articoli con diversi pseudonimi.
Il romanticismo schumanniano
Il romanticismo di Schumann era di una forte tempra, costituzionalmente ben diversa dall’uso banalizzato in cui il termine romantico è caduto nel linguaggio corrente. Quando decise definitivamente di volgere la propria vocazione creativa alla musica, Schumann affidò da subito al pianoforte le sue ‘voci’ più intime e personali. Queste voci erano intrise della matrice poetica del suo pensiero, delle sue inclinazioni intellettuali e mentali, come emerge già dalla scelta dei primi titoli, ispirati dall’immaginario naturalistico o da personaggi derivati dalla narrativa e dalla favolistica scenico-teatrale
A questa stessa personalità di romantico estremo vanno ascritti certi tratti depressivi patologici, che afflissero Schumann a partire dagli anni Trenta.
Il pianoforte
L’attività creativa di Schumann fu controbilanciata per qualche tempo da quella concertistica, spesso in coppia con la moglie Clara, sposata nel 1840. In questo periodo perfezionò anche la sua personale tecnica pianistica che spesso lo portò a procurarsi lesioni ai tendini della mano.
Questa attività gli assicurò maggiore notorietà di quella di compositore, ma fu presto condizionata dalle disturbate condizioni fisiche e neuropsichiche, con crisi sempre più persistenti.
A sua volta, l’attività compositiva fu contrassegnata da un’intensa produzione, concentrata ora su un materiale sonoro, per esempio il pianoforte; ora su combinazioni strumentali, per esempio quartetti d’archi o quintetti con pianoforte; ora sul confronto, sempre necessario, con la grande tradizione sinfonica; ora sull’inevitabile terreno, romantico e germanico per eccellenza, del Lied con pianoforte.
Restano legati allo strumento del pianoforte tutti quei lati della personalità del compositore che sono emblema del suo romanticismo, consegnati per esempio al Concerto in la minore per pianoforte e orchestra e a moltissimi dei suoi duecentocinquanta Lieder, soprattutto ai due cicli Amore e vita di donna (di otto canti) e Vita di poeta (di sedici canti) su poesie di Heine, entrambi composti nel 1840. L’essenza della poeticità del suono schumanniano si coglie talvolta alla fine di alcuni di questi Lieder, in cui tace la voce e resta protagonista il pianoforte a elevare al massimo la parola lirica.
Le grandi composizioni
In seguito, nel corso degli anni Quaranta, il compositore accusò disturbi di salute che si alternavano a sempre più frequenti crisi nervose. Ciò lo indusse a trasferirsi da Lipsia a Dresda. Qui conobbe Wagner senza trarne particolare interesse.
In questo decennio (1841-50) affrontò, con esiti disuguali, tre sinfonie e nella terza, la Renana, raggiunse momenti di più aperta e singolare efficienza formale e stilistica rispetto al modello di Beethoven. La Quarta sinfonia apparve in forma definitiva nel 1851 come rielaborazione di una Fantasia concepita nel 1841.
Schumann e Brahms: due romanticismi a confronto
Nel frattempo Schumann si era trasferito a Düsseldorf in condizioni di salute peggiorate, specialmente riguardo alle facoltà mentali, benché ancora capace di realizzare un affascinante Concerto per violoncello e orchestra (1850) e altre opere cameristiche. In tali frangenti sopravvenne nel 1853 un incontro storico, quello con il ventenne Johannes Brahms, che si trasformò presto in sodalizio d’arte.
Un incontro di due romanticismi complementari: quello di Schumann portato alle estreme conseguenze fino a sconfinare negli sconvolgimenti della follia, e quello di Brahms teso a preservare, fino alla fine, il dono della ineffabilità romantica, come si può ammirare nelle sue ultime pagine pianistiche.
Nel 1854 la follia di Schumann esplose, conducendolo a un tentativo di suicidio nelle acque del Reno. Ricoverato presso Bonn in una clinica per malattie mentali, vi morì due anni dopo, nel 1856, attorniato dalla moglie Clara e da altri amici.
Forme musicali sacre:la Messa
LA MESSA GREGORIANAIl canto costituì sin dalle origini una parte integrante nella celebrazione della messa continuando in ciò la prassi sinagogale. Nella messa gregoriana le parti eseguite dall'assemblea (generalmente a cori alternati) rivestono maggiore interesse musicale delle parti eseguite dal celebrante e, a eccezione del Gloria e del Credo, hanno un carattere melodico più sviluppato. Il secolo XII segna il declino della messa in canto piano e la comparsa (scuola di Notre Dame) delle prime elaborazioni polifoniche di alcune parti della messa. La prima messa interamente polifonica è la cosiddetta Messa di Tournai (1320 ca.) composta di brani di diversi autori. La Messe de Notre- Dame di G.de Machault (1349 ca.) è il primo esempio di messa scritta da un solo autore e concepita come opera unitaria. Base e fonte inesauribile d'ispirazione tematica per la messa polifonica del XV/XVI secolo restò comunque la melodia gregoriana (cantus firmus). Agli inizi dell secolo XV nelle messe di polifonisti inglesi e franco-fiamminghi come L.Power e J.Ciconia cominciò a delinearsi la tendenza all'unità tematica delle varie parti. Questa tendenza condusse, con G.Dufay e la scuola fiamminga, alla messa ciclica, la quale utilizza in tutte le sezioni un unico cantus firmus tratto dal repertorio gregoriano. |
LA MESSA POLIFONICA RINASCIMENTALE |
Il Canto Gregoriano parte prima
Deve essere cantato a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale, poiché ogni armonizzazione, anche se discreta, altera la struttura di questa musica.
In effetti si tratta di un canto omofono, più propriamente monodico, è una musica cioè che esclude la simultaneità sonora di note diverse: ogni voce che lo esegue canta all'unisono.
Dal punto di vista del sistema melodico, il canto gregoriano è di tipo modale e diatonico. I cromatismi vi sono generalmente esclusi, così come le modulazioni e l'utilizzo della sensibile. Le diverse scale impiegate con i loro gradi ed i loro modi, sono chiamati modi ecclesiastici, scale modali o modi antichi, in opposizione alle scale utilizzate in seguito nella musica classica tonale.
Non è cadenzato, ma è assolutamente ritmico. Il suo ritmo è molto vario, contrariamente alla cadenza regolare della musica moderna. Il ritmo, che nel canto gregoriano riveste un ruolo complesso, oltrepassa le parole e la musica, sorpassando le due logiche. Nei passaggi salmodici o sillabici, il ritmo proviene principalmente dalle parole. Nei passaggi neumatici o melismatici, è la melodia che diventa preponderante. Queste due componenti sono costantemente presenti.
È una musica recitativa che predilige il testo in prosa, che prende origine dal testo sacro e che favorisce la meditazione e l'interiorizzazione (ruminatio) delle parole cantate[2]. Il canto gregoriano non è un elemento ornamentale o spettacolare che si aggiunge alla preghiera di una comunità orante, ma è parte integrante ed efficace della stessa lode ordinato al servizio ed alla comprensione della Parola di Dio[3]. È questo il significato più profondo ed intimo di questo genere musicale.
La Polifonia Rinascimentale Parte prima.
La Musica Rinascimentale.
Il termine “musica rinascimentale” definisce la musica colta, composta in Europa tra il XV e XVI secolo.
Nel Rinascimento, mentre giunge a maturità la polifonia vocale, si intensificano i processi che porteranno alla definitiva affermazione della musica strumentale come espressione artistica autonoma. Lo sviluppo della polifonia determina il nascere di nuovi strumenti in grado di accordarsi ai vari, definiti, registri vocali.
Il liuto, con le varianti arciliuto, tiorba, chitarrone, domina incontrastato nelle corti; nuovi strumenti vengono costruiti applicando una tastiera al salterio: il cembalo, il virginale, il clavicordo.
In questo periodo si affermano la Frottola, il Madrigale, il Mottetto e la Messa.
La Frottola è una composizione di genere popolaresco, di solito a quattro voci; nata in piazza e fiorita nelle corti italiane, si evolve nel Madrigale polifonico, una forma più artistica, basata su testi di autorevoli poeti e rispettosa della metrica. Tra i più grandi madrigalisti italiani dobbiamo, assolutamente, ricordare Gesualdo da Venosa e Claudio Monteverdi. Il Mottetto, in origine di carattere profano, diventa di genere religioso quando i polifonisti attingono a testi biblici o evangelici. La Messa polifonica è una forma musicale di ampio respiro; comprende tutte le parti della liturgia in lingua latina, l’esecuzione è vocale ed è denominata “a cappella” facendo riferimento alla sede in cui si disponevano i cantori.
Le musiche sono generalmente composte per quattro voci, soprano, alto, tenore, basso e sono eseguite da complessi vocali con o senza accompagnamento; iniziano a formarsi anche complessi solo strumentali organizzati per “famiglia” (fiati, archi). La nascente musica strumentale, che dalla polifonia vocale assimila la struttura, acquisisce dai movimenti della danza i contenuti ritmici e dinamici che le consentono di potersi proporre e affermazione come espressione artistica a sé stante. I vari ritmi lenti e veloci che si alternano nelle composizioni musicali danno poi il nome ai movimenti che noi conosciamo come Suite, Partita e Sonata.
L’avvento della stampa rappresenta un formidabile propellente per la divulgazione e la conoscenza della musica; nascono trattati musicali, raccolte monografiche e antologiche, metodi didattici.
Nel 1511, a Basilea, si pubblica l’opera del monaco Sebastian Virdung “Musica getusch und angezogen”, che descrive gli strumenti dell’epoca e li classifica in base al modo di riprodurre i suoni. Un altro importante trattato è “Musica instrumentalis deudsch” di Martin Agricola, pubblicato nel 1529. Ricordiamo ancora il “Fronimo” di Vincenzo Galilei, pubblicato nel 1568 per lo studio del liuto. È notevole, poi, l’importanza dell’opera di Michael Praetorius: “Sintagma Musicum”, un trattato in tre volumi destinato soprattutto ai musicisti ed ai costruttori di strumenti musicali; caratteristica unica di quest’opera è il supplemento “Theatrum instrumentorum seu Sciagraphia”, dedicato alla raffigurazione degli strumenti musicali attraverso una serie di accuratissime xilografie.
Nel Rinascimento, la musica profana è soprattutto musica di corte. Spicca in questo periodo la figura del mecenate. Il “signore” ospita e mantiene alla sua corte letterati, musicisti, pittori per tenere alto il prestigio della casata. Le corte dei Medici, dei Visconti, degli Estensi, dei Gonzaga e dei Montefeltro sono centri di esecuzione musicale e diventano punto di riferimento per tutti i musicisti d’Europa. È il periodo delle “Accademie” che, sotto nomi diversi, riuniscono scienziati e artisti. Giova mettere in evidenza la “Camerata de’ Bardi” o “Camerata Fiorentina”: da essa trae origine una nuova forma di rappresentazione teatrale, il “recitar cantando”. I versi del poeta Ottavio Rinucci sono messi in musica da Jacopo Peri e Giulio Caccini: è questo il primo germe del teatro musicale moderno.
La musica sacra trova i massimi riferimenti nelle sedi di Roma e Venezia. Alla Scuola Romana sono legati musicisti della Santa Sede e della Cappella musicale pontificia; lo stile riflette ancora la tradizione gregoriana e vede in Giovanni Pierluigi da Palestrina il suo più grande e significativo rappresentante. La Scuola Veneziana, sorta presso la Basilica di San Marco, instaura uno stile innovativo con l’apporto di musicisti fiamminghi e veneziani. Adriano Willaert, ma soprattutto Andrea e Giovanni Gabrieli, zio e nipote, adottano la tecnica dei “cori battenti” (disposizione contrapposta e sovrapposta di voci) per creare effetti sonori di grande solennità.
Alla fine del 1500, mentre stiamo per entrare nel periodo barocco, il trattato “De Institutioni Harmonicae” del veneziano Gioseffo Zarlino, codifica in maniera definitiva le regole dell’armonia con la suddivisione dell’ottava in intervalli di dodici toni; un sistema basato su scale di maggiore e minore che è alla base del moderno sistema musicale.
giovedì 3 agosto 2017
Franz Schubert
Il genio musicale dalle due anime
Il compositore viennese Franz Schubert visse solo trentuno anni, nei primi decenni dell’Ottocento, ma costellò la sua vita di capolavori assoluti nel campo del Lied
(il canto tedesco che egli per primo portò alla più elevata espressione), della musica da camera, di quella pianistica e, infine, di quella sinfonica. Ebbe la straordinaria capacità di mescolare elementi di genere popolare con quelli dello stile musicale più alto, in un intreccio linguistico unico nella storia della musica.Le due anime di Schubert
Nato il 31 gennaio 1797, a Lichtental, una località nei pressi di Vienna, trascorse la fanciullezza in un ambiente povero, da cui uscì undicenne per entrare come corista nella Cappella imperiale a Vienna. Nello stesso anno (1808) divenne alunno del Convitto della città, dove poté coltivare le sue notevoli attitudini musicali e dove ottenne un’istruzione adeguata anche di cultura generale.
Fu allora che capitò sotto la guida del famoso compositore e insegnante Antonio Salieri, e il suo destino di musicista iniziò a compiersi. Rimase allievo di Salieri per un quinquennio, mentre nel 1813 lasciò il Convitto per passare in un collegio di maestri di scuola. Intanto si manifestò la straordinaria ricchezza del suo talento creativo, unitamente a una particolarità del suo genio: la capacità di addentrarsi nella musica di consumo a lui contemporanea, fatta di minuetti, gavotte, valzer, controdanze.
Fin dalle prime prove iniziò a delinearsi in Schubert una genialità ‘bifronte’, appunto per la compresenza di due anime, quella colta e quella popolare. Questo determinò le particolari caratteristiche delle sue invenzioni musicali, soprattutto nel campo del Lied (cioè della canzone tedesca).
Seicento Lieder, moltissimi capolavori
Anche se il genere liederistico era già coltivato da molto tempo nei paesi di lingua tedesca e con il contributo di autori di grande prestigio, tutti i più grandi studiosi concordano nell’assegnare a Schubert la scoperta e la rivelazione del Lied romantico, e ne indicano addirittura la data precisa, il 19 ottobre 1814, data di nascita del primo capolavoro, Margherita all’arcolaio, tratta dalla seconda parte del Faust di Goethe.
Nel corso della sua brevissima vita Schubert produsse ben seicento Lieder: In questo genere musicale popolare egli inserì toccanti intonazioni sommesse o di intensa drammaticità che utilizzò anche nelle sue composizioni di stile alto, particolarmente nella musica da camera.
I percorsi strumentali
La composizione dei Lieder non esaurì né le esigenze compositive né la fertile creatività di Schubert, che volse una forte attenzione a tre settori operativi: la musica per solo pianoforte, quella per pianoforte in combinazioni con archi e strumenti a fiato, e quella per quartetto. In questi tre settori e in quello liederistico, Schubert creò un particolare intreccio linguistico, accostando alla nobile eredità della tradizione quello che è stato definito il «dialetto viennese» dei suoi più tipici Lieder.
Tanto al pianoforte quanto al quartetto il compositore approdò giovanissimo con la Sonata in mi maggiore per pianoforte, rimasta incompiuta (1815), e con il Primo quartetto in do maggiore (1812), entrambi capostipiti di un nutrito corpo d’opere, nel quale Schubert fece i conti con la tradizione e con i precetti dell’insegnamento di Salieri. Intorno agli anni Venti ebbe inizio una nuova fase, decisiva per l’affermazione della personalità del musicista, assicurata da un buon numero di opere di vari generi tra cui si annoverano molti capolavori.
Quartetti e quintetti
È nel campo del quartetto che Schubert procedette ai nuovi accostamenti di cui si è detto, cioè proprio in un campo dove più tenace era l’eredità dello stile classico del tardo Settecento. Così, dopo alcuni anni di silenzio relativamente alla produzione quartettistica, venne alla luce nel 1824 un Quartetto in la minore che annuncia uno Schubert nuovo fin dal primo movimento, o per meglio dire uno Schubert integralmente sé stesso.
L’accostamento e l’intreccio tra le due anime aveva già affrontato una specie di rodaggio proprio nel 1819, in un Quintetto per archi e pianoforte il cui finale è costituito da variazioni su un incantevole Lied d’intonazione quasi infantile e popolare, intitolato La trota (1817). Ancor più importante, da questo punto di vista, è il Quartetto in re minore, contemporaneo a quello già citato che sviluppa il suo affascinante e accorato discorso su un Lied del 1817, La morte e la fanciulla.
I capolavori del pianoforte
Schubert tornò al pianoforte non soltanto con le sonate (ben otto complete, composte tra il 1819 e il 1828), ma anche con la versione a lui particolarmente cara del pianoforte a quattro mani.
È comunque il pianoforte il terreno dove si sviluppò la più diretta e avvincente ‘parola’ schubertiana, con risultati di netta, affascinante originalità. Ciò fu intimamente legato sia a opere con struttura di ampio respiro sia a pezzi concentratissimi che trovarono ispirazione ancora più propizia. Questi ultimi, in mano a editori di musica più o meno affidabili, furono raggruppati e pubblicati in tre fascicoli, due di Improvvisi e uno di Momenti musicali, collocabili grosso modo tra il 1823 e il 1827: costituiscono l’immagine più cara del romanticismo schubertiano, la più diffusa fra i giovani pianisti.
Da una sinfonia incompiuta all’arte incompiuta di Schubert
Il grande capitolo delle sinfonie schubertiane contiene due esempi emblematici dell’ultima ‘parola’ di Schubert: la Sinfonia in si minore, la famosa Incompiuta (1822), costituita da due soli movimenti, e la Sinfonia in do maggiore, detta La grande, iniziata nel 1825 e terminata nel 1828. L’Incompiuta, soprattutto, mostra i segni di uno Schubert sulla strada di un nuovo sinfonismo, fin dalle prime battute, intrise di una malinconia che oscilla tra un pacato rimpianto e la lirica ariosità di un estremo saluto. Questo particolarissimo clima musicale non venne replicato nella sinfonia successiva, serenamente ultimata da Schubert poco prima della sua morte.
L’ultimo anno di vita è segnato da un’inarrestabile laboriosità, pur tormentata da peggiorate condizioni di salute: dopo aver composto nel 1827 lo stupendo ciclo liederistico Viaggio d’inverno , pervaso da spettrale solitudine – Schubert produsse una Messa in mi bemolle maggiore, un Quintetto d’archi in do maggiore, lo straziante ciclo liederistico Canto del cigno e le tre estreme Sonate per pianoforte, ultimo gesto di emancipazione nei confronti dei precetti della tradizione classica. Anche nel teatro musicale, per il quale nutrì un costante interesse – forse indotto più dalla moda del tempo che da proprie innate attitudini – compose numerose opere liriche mai completate, o messe in scena solo dopo la sua morte.
Schubert lasciò spunti e abbozzi (per altre opere liriche), insieme ad altre composizioni, fra compiute e incompiute, a dimostrazione che l’elemento più incompiuto resta proprio l’arte di Schubert, scomparso ad appena trentun anni nel 1828. ( Video lezione: link)
Scuola Polifonica Fiamminga Parte seconda.
Diffusione della pratica fiamminga in Europa
Il successo dei musicisti fiamminghi, come compositori e come cantanti, è un fenomeno che coinvolge l’Europa per più di due secoli: nei manoscritti di tutto il continente la polifonia fiamminga occupa sempre la parte più rilevante e talvolta la quasi totalità del repertorio, e negli elenchi a noi giunti dei musicisti attivi presso le maggiori istituzioni musicali, i Fiamminghi sono sempre in maggioranza rispetto agli esecutori locali.
I percorsi dei principali compositori si somigliano tutti tra loro. A un periodo di apprendimento e di iniziale attività musicale presso qualche nota cattedrale del Paese d’origine, segue una carriera itinerante, al servizio di corti straniere laiche o clericali, non solo come musicisti, ma spesso in qualità di diplomatici, ambasciatori, dignitari ecclesiastici. Nonostante i più grandi maestri di questa scuola trascorrano la maggior parte della loro vita in luoghi diversi da quello di nascita, appare tuttavia evidente nelle loro opere uno stile comune che essi stessi definiscono “musica reservata” su indicazione di Adrianus Petit Coclico: i fiamminghi sono portatori del loro stile ovunque operino e, allo stesso tempo, rivestono a pieno titolo il ruolo di uomini nuovi del secolo in quanto poliglotti, cosmopoliti, umanisti a tutti gli effetti.
I maggiori centri di cultura nei quali i musicisti fiamminghi esercitano la loro attività sono le corti francese e borgognona, specie nel periodo prerinascimentale, la cappella pontificia, le signorie italiane e la corte imperiale. Sin dal Trecento la cappella papale si serviva di musicisti oltremontani, e questa consuetudine continua nei due secoli successivi, con autori quali Prioris, Weerbecke, de Orto e Carpentras.
I più noti musicisti fiamminghi che operano in Italia nella prima metà del secolo sono Josquin Desprez, attivo in ambito milanese, ed Heinrich Isaac, vissuto a lungo a Firenze come musicista presso la corte medicea (nel celebre brano Palle! Palle! egli celebra lo stemma della casata).
Amico di Lorenzo il Magnifico, maestro di musica dei suoi figli, fra cui Giovanni, futuro papa Leone X, poliglotta anche musicalmente, Heinrich Isaac coltiva accanto al genere sacro la musica per organo o liuto, la frottola, il Lied, accogliendo spunti dal genere popolaresco nei suoi canti carnascialeschi.
L’umanesimo influenzerà profondamente i Fiamminghi, determinando, nelle composizioni vocali, una maggiore adesione fra testo e musica. Soprattutto Josquin contribuisce alla creazione di una nuova tradizione ed è una figura dominante del XVI secolo. Nicolas Gombert è invece l’ultimo esponente della scuola medievale, come si può evincere dal suo stile severo e solenne; la sua carriera gravita attorno alle capitali dell’Europa del nord, ma può considerarsi un caso isolato: tutti i suoi conterranei vantano lunghi soggiorni in Italia.
La seconda metà del secolo vede la decadenza politica dei Paesi Bassi: dopo l’abdicazione di Carlo V, la cappella imperiale si scioglie, molti dei suoi musicisti si pongono al servizio di Filippo II di Spagna (ove si crea la cosiddetta “capilla flamenca”), altri del nuovo imperatore Ferdinando I.
Antonio Vivaldi
È considerato il più grande compositore italiano di musica strumentale. Figlio di un violinista molto noto in città, Antonio Vivaldi (4 marzo 1678, Venezia - 28 luglio 1741, Vienna) riceve le prime lezioni di musica dal padre. Ma il piccolo Antonio soffre fin dalla nascita di una “strettezza di petto” (verosimilmente una forma di asma o di angina pectoris) e si stanca con estrema facilità, perfino camminare lo affatica. Ai genitori sembra una buona soluzione avviarlo alla carriera ecclesiastica, in modo da garantirgli, comunque, una tranquillità economica e nel marzo 1703 viene ordinato sacerdote. Per le sue condizioni di salute viene dispensato dal celebrare la messa e il colore dei suoi capelli gli vale il soprannome di “prete rosso”.
Nel settembre dello stesso anno viene assunto come maestro di violino al Conservatorio della Pietà (e vi resta, con qualche interruzione, fino al 1740), un istituto in cui vengono accolte ragazze orfane o abbandonate che ricevono assistenza e anche un’educazione musicale. Il suo ruolo gli impone di produrre musica strumentale per l’attività delle ragazze. Anche nei periodi in cui non è al Conservatorio continua a vendere all’Istituto i suoi concerti: in tutta la sua vita ne compone complessivamente più di 470 (il numero esatto è incerto, sia per alcuni problemi di attribuzione, sia perché ancor oggi ne viene scoperto qualcuno inedito). Con l’opera di Vivaldi, il concerto acquisisce la sua fisionomia definitiva destinata a rimanere stabile per quasi due secoli. Fino ad allora, il termine “concerto” indicava una composizione caratterizzata dall’alternarsi di strumento solista e orchestra, articolata in una serie di diversi movimenti. Vivaldi utilizza quasi sempre la struttura in tre movimenti Allegro-adagio-allegro (diventata, in seguito, canonica): all’interno dei movimenti veloci stabilisce l’alternanza di ritornelli orchestrali e interventi solistici, mentre il movimento lento centrale permette al solista di cantare più liberamente. Nonostante la grande popolarità che subito raggiunge in tutta Europa, solo una piccola parte dell’imponente produzione concertistica vivaldiana viene data alle stampe durante la sua vita. Fra le opere pubblicate si trovano alcuni dei suoi esiti migliori: L’estro armonico, op.3, del 1711 (quattro concerti per violino solo, quattro per due violini, quattro per quattro violini) che vengono ammirati, studiati e trascritti da Bach e, soprattutto, Il cimento dell’armonia e dell’inventione, op.8, i cui primi quattro concerti sono le celeberrime Quattro stagioni, il più riuscito esempio di quella musica descrittiva che godette di tanto favore nel barocco e nell’Arcadia. La maggior parte dei concerti di Vivaldi hanno come solista il suo strumento, il violino, anche se molti sono scritti per altri archi (viola d’amore, violoncello) e per fiati. Fra questi ultimi si segnalano, in particolare, i Sei concerti op.10 per flauto, che comprendono un concerto intitolato Il cardellino e un altro La notte che nella loro capacità evocativa nulla hanno da invidiare alle più blasonate Quattro stagioni. Oltre ai concerti (ai quali la sua fama rimane essenzialmente legata), compone per le ragazze del Conservatorio anche molta musica sacra, fra cui spiccano i due Gloria, il giubilante Magnificat e il più pensoso Stabat Mater. Scrive anche parecchie opere, ma in questo campo si limita perlopiù a seguire in modo poco originale i moduli dell’epoca. L’attività teatrale lo porta a occuparsi anche della messa in scena delle sue opere, costringendolo, negli ultimi anni, a viaggiare frequentemente. Nell’aprile 1740 parte per Vienna, verosimilmente per farvi rappresentare alcuni suoi lavori. Di quest’ultimo viaggio si conosce pochissimo: con certezza si sa che vive l’ultimo periodo della sua vita con una vedova, che la morte lo coglie in pressoché totale miseria e che viene sepolto con i funerali riservati ai poveri.
La Scuola Polifonica Fiamminga. Parte prima.
La parabola del successo ottenuto dalla polifonia fiamminga in tutta Europa nasce agli albori del XV secolo, tocca il suo culmine all'inizio dell’età moderna per concludersi alla fine del Cinquecento; questo stile, giustamente definito internazionale, tuttavia non cesserà: i suoi contenuti troveranno sbocco negli idiomi musicali dei Paesi coi quali i fiamminghi entrano in contatto.
La parabola del successo ottenuto dalla polifonia fiamminga in tutta Europa nasce agli albori del XV secolo, tocca il suo culmine all'inizio dell’età moderna per concludersi alla fine del Cinquecento; questo stile, giustamente definito internazionale, tuttavia non cesserà: i suoi contenuti troveranno sbocco negli idiomi musicali dei Paesi coi quali i fiamminghi entrano in contatto.
Il Ducato di Borgogna è un’unità territoriale che oggi non esiste più e che coincideva solo in parte con gli attuali territori di Olanda, Belgio e Lussemburgo e con alcune zone della Francia e della Germania settentrionale.In questa nazione (unificata nel Quattrocento, il regno si disgrega nel 1579, soprattutto a causa delle lotte di religione) che deve la sua prosperità ai traffici commerciali marittimi e fluviali, il benessere favorisce lo sviluppo delle arti: pittura e musica saranno a volte accomunate da un destino simile, in un percorso che le porterà a raccogliere consensi in tutta Europa. La musica in particolare avrà un tale riscontro nel continente, da detenere per più di due secoli una sorta di primato.La nascita di uno stile fiammingo trova radici già verso la fine del Trecento: esso trae le sue principali energie dalla vita musicale delle grandi cattedrali borgognone di Cambrai, Tournai, Utrecht, Liegi, che possono permettersi di fornire ai futuri musicisti una formazione scolastica gratuita sin dall’infanzia. Questo stile elabora l’espressione locale con idee assimilate da altre culture musicali (la polifonia inglese, il trattamento italiano della melodia), ma soprattutto raccoglie l’eredità della scuola francese, ormai in declino.Il secolo d’oro della musica fiamminga va dalla metà del Quattrocento alla metà del secolo successivo: per il periodo quattrocentesco ricordiamo i nomi di Johannes Ciconia, primo fiammingo in Italia; Guillaume Dufay, celebre per avere fissato nel mottetto e nella messa i generi prevalentemente frequentati da questa scuola; Gilles Binchois, noto per le sue chansons; Johannes Ockeghem, Jacob Obrecht.
Il Ducato di Borgogna è un’unità territoriale che oggi non esiste più e che coincideva solo in parte con gli attuali territori di Olanda, Belgio e Lussemburgo e con alcune zone della Francia e della Germania settentrionale.
In questa nazione (unificata nel Quattrocento, il regno si disgrega nel 1579, soprattutto a causa delle lotte di religione) che deve la sua prosperità ai traffici commerciali marittimi e fluviali, il benessere favorisce lo sviluppo delle arti: pittura e musica saranno a volte accomunate da un destino simile, in un percorso che le porterà a raccogliere consensi in tutta Europa. La musica in particolare avrà un tale riscontro nel continente, da detenere per più di due secoli una sorta di primato.
La nascita di uno stile fiammingo trova radici già verso la fine del Trecento: esso trae le sue principali energie dalla vita musicale delle grandi cattedrali borgognone di Cambrai, Tournai, Utrecht, Liegi, che possono permettersi di fornire ai futuri musicisti una formazione scolastica gratuita sin dall’infanzia. Questo stile elabora l’espressione locale con idee assimilate da altre culture musicali (la polifonia inglese, il trattamento italiano della melodia), ma soprattutto raccoglie l’eredità della scuola francese, ormai in declino.
Il secolo d’oro della musica fiamminga va dalla metà del Quattrocento alla metà del secolo successivo: per il periodo quattrocentesco ricordiamo i nomi di Johannes Ciconia, primo fiammingo in Italia; Guillaume Dufay, celebre per avere fissato nel mottetto e nella messa i generi prevalentemente frequentati da questa scuola; Gilles Binchois, noto per le sue chansons; Johannes Ockeghem, Jacob Obrecht.
Le forme musicali
L’arte fiamminga si esprime soprattutto in ambito sacro, nel genere definito “a cappella” (e cioè nell’esecuzione vocale senza accompagnamento degli strumenti). Accanto alla messa polifonica troviamo forme liturgiche o paraliturgiche più brevi, ma non per questo meno complesse: il mottetto, l’inno e il Magnificat.La musica dei fiamminghi è la musica delle grandi occasioni, che poco o nulla ha a che vedere con le normali celebrazioni religiose: vanto delle corti e delle grandi cattedrali, essa richiede vaste compagini di esecutori tecnicamente preparati ed educati musicalmente.La messa, suddivisa in cinque parti (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei), è la composizione di portata più ampia, con un’architettura musicale estremamente articolata la cui coerenza è data dall’unità tematica delle varie sezioni. Il tipo più diffuso è, specialmente fra le prime generazioni di compositori, quello della messa ciclica, costruita aggiungendo altre due o tre voci a una melodia (detta tenor, per il fatto che “tiene”, “regge” tutta la struttura del brano, ed è costituita da note molto lunghe, “tenute”, appunto) scelta dal repertorio sacro (cantus firmus) o da motivi popolari. Tra questi ricordiamo il celebre canto L’homme armé, che molti compositori prendono come spunto per l’elaborazione di messe polifoniche.Successivamente si affermano la messa-parodia, nella quale una o più voci riprendono liberamente il materiale tematico di una chanson polifonica, e la messa-parafrasi, con il cantus firmus alternativamente affidato a tutte le voci. Se escludiamo la messa ciclica, ancora legata a schemi compositivi medievali, le tecniche successive si distinguono per l’uguale importanza data a tutte le voci, un requisito che andrà affermandosi come caratteristica della musica rinascimentale.Il metodo compositivo adottato per le messe viene usato generalmente anche per le altre composizioni sacre. Per i brani più brevi si impiegano anche altre tecniche, una delle quali è il falso bordone, uno stile omoritmico in cui il cantus firmus è affidato alla voce più acuta, e quelle inferiori procedono parallelamente a esso, a intervalli di quarta e sesta.Nel genere musicale profano, la forma tipicamente fiamminga è la chanson, di norma su testo francese, a scrittura polifonica imitativa, a tre o quattro parti. Al di fuori dell’ambito sacro, tuttavia, i Fiamminghi sono inclini ad applicare il loro stile alle forme musicali locali con le quali entrano via via in relazione, scrivendo dunque frottole, villanelle, canzoni, madrigali, Lied, brani strumentali.
L’arte fiamminga si esprime soprattutto in ambito sacro, nel genere definito “a cappella” (e cioè nell’esecuzione vocale senza accompagnamento degli strumenti). Accanto alla messa polifonica troviamo forme liturgiche o paraliturgiche più brevi, ma non per questo meno complesse: il mottetto, l’inno e il Magnificat.
La musica dei fiamminghi è la musica delle grandi occasioni, che poco o nulla ha a che vedere con le normali celebrazioni religiose: vanto delle corti e delle grandi cattedrali, essa richiede vaste compagini di esecutori tecnicamente preparati ed educati musicalmente.
La messa, suddivisa in cinque parti (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei), è la composizione di portata più ampia, con un’architettura musicale estremamente articolata la cui coerenza è data dall’unità tematica delle varie sezioni. Il tipo più diffuso è, specialmente fra le prime generazioni di compositori, quello della messa ciclica, costruita aggiungendo altre due o tre voci a una melodia (detta tenor, per il fatto che “tiene”, “regge” tutta la struttura del brano, ed è costituita da note molto lunghe, “tenute”, appunto) scelta dal repertorio sacro (cantus firmus) o da motivi popolari. Tra questi ricordiamo il celebre canto L’homme armé, che molti compositori prendono come spunto per l’elaborazione di messe polifoniche.
Successivamente si affermano la messa-parodia, nella quale una o più voci riprendono liberamente il materiale tematico di una chanson polifonica, e la messa-parafrasi, con il cantus firmus alternativamente affidato a tutte le voci. Se escludiamo la messa ciclica, ancora legata a schemi compositivi medievali, le tecniche successive si distinguono per l’uguale importanza data a tutte le voci, un requisito che andrà affermandosi come caratteristica della musica rinascimentale.
Il metodo compositivo adottato per le messe viene usato generalmente anche per le altre composizioni sacre. Per i brani più brevi si impiegano anche altre tecniche, una delle quali è il falso bordone, uno stile omoritmico in cui il cantus firmus è affidato alla voce più acuta, e quelle inferiori procedono parallelamente a esso, a intervalli di quarta e sesta.
Nel genere musicale profano, la forma tipicamente fiamminga è la chanson, di norma su testo francese, a scrittura polifonica imitativa, a tre o quattro parti. Al di fuori dell’ambito sacro, tuttavia, i Fiamminghi sono inclini ad applicare il loro stile alle forme musicali locali con le quali entrano via via in relazione, scrivendo dunque frottole, villanelle, canzoni, madrigali, Lied, brani strumentali.
Il Romanticismo
Nella prima metà del 1800 si diffuse in tutta Europa un vasto movimento culturale, nato in Germania ma destinato a contrassegnare il modo di pensare e di sentire di tutte le nazioni europee: il Romanticismo. Se gli ideali del periodo classico erano fondati sul primato assoluto della ragione, gli ideali romantici esaltavano l’irrazionalità, la libera espressione del sentimento individuale e collettivo: venivano così valorizzati l’amore patriottico, l’orgoglio per le tradizioni popolari e tutti i sentimenti spontanei dell’animo umano.
Durante il Romanticismo la musica assunse una grande importanza; infatti, i pensatori romantici ritenevano che essa fosse la sola arte in grado di esprimere i sentimenti o le sensazioni più profonde dell’animo umano; anche le altre arti, come la letteratura o la pittura, potevano esprimere questi sentimenti, ma i loro mezzi (la parola, la figura, i colori, ecc.) erano limitati, e oltre una certa soglia non potevano andare. Dunque, tra le varie arti, la musica era considerata la regina, e tanto più lo era se si trattava di musica solo strumentale; infatti, la musica vocale, proprio perché legata alla parola e quindi ritenuta limitata, veniva considerata meno “espressiva” del genere strumentale. Da questo modo di vedere le cose nacque il concetto di “musica assoluta”; questa espressione indica il genere di musica esclusivamente strumentale, considerata, appunto, come l’arte perfetta, che riusciva ad esprimere anche i sentimenti più profondi dell’uomo. La musica romantica, quindi, si distinse per la profonda espressività, per il modo con cui cercò di dare intensità ai sentimenti, alle sensazioni ed alle immagini.
Rapporto con la società
L'affermarsi della borghesia e la decadenza dell'aristocrazia determina un profondo mutamento del ruolo del musicista e ne condiziona l'attività. Alla figura del musicista-dipendente (che esaudiva le richieste del principe mecenate o della corte da cui era mantenuto) si sostituisce quella del musicista-“genio romantico”, libero di esprimere se stesso senza vincoli di dipendenza. Tale libertà creativa comporta però anche aspetti problematici: da una parte viene meno la sicurezza economica propria della condizione precedente, dall'altra emerge la difficoltà di rapporto con il nuovo ed esigente “datore di lavoro”: il pubblico. Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, infatti, l'attività musicale si sposta progressivamente dalla corte aristocratica al teatro pubblico borghese, con ingresso a pagamento. E’ con questo pubblico, con i suoi gusti e le sue esigenze, molto più diversificate e mutevoli rispetto a quelle del pubblico aristocratico, che il musicista deve ora misurarsi e, spesso, scontrarsi. Da questo difficile rapporto con il pubblico dipendono, probabilmente, il pessimismo, la solitudine e la sensazione di incomprensione e di inutilità sofferti da molti artisti degli inizi dell'Ottocento.
Nella sua nuova posizione indipendente il musicista poteva guadagnarsi da vivere principalmente in tre modi: • vendendo e pubblicando le opere da lui composte; • suonando in concerti pubblici; • dando lezioni di musica ad una clientela privata.
Per molti musicisti quest’ultima soluzione fu quella che concretamente diede loro da vivere, poiché non era certamente facile comporre opere e pubblicarle, come dare concerti. Nella seconda metà del secolo, poi, parallelamente alla musica colta di salotti, circoli, sale da concerto e teatri, inizia a diffondersi un tipo di musica più leggera e ballabile, di derivazione popolare, consumata nei caffè concerto, o “cafè chantant”, locali pubblici nei quali si esibiscono attori comici, dicitori, cantanti e musicisti.
Caratteri generali
Anche se in modo molto schematico, è possibile individuare alcune caratteristiche peculiari della produzione musicale di questo periodo: • La melodia sviluppa ed accresce la sua importanza; l'idea melodica, il tema musicale, è il centro della musica romantica e presenta caratteristiche di semplicità ed estrema cantabilità; soprattutto all’interno delle “scuole nazionali” si diffonde l’uso di attingere al patrimonio di canti e melodie popolari tradizionali. • Dal punto di vista ritmico, si amplia la gamma dei tempi musicali impiegati diversi anche all'interno del medesimo brano; il rigore temporale e ritmico caratteristico della musica del Settecento viene superato anche attraverso un ampio impiego delle variazioni di velocità (“rallentando”, “accelerando”). • Si dilata la gamma di sfumature dinamiche, ottenendo così livelli di intensità sonora estremamente differenziati: dal “pianissimo” impercettibile al “fortissimo” assordante. Questo allargamento della dinamica si sviluppa parallelamente al diffondersi dell'uso del pianoforte (il cui nome è indicativo della capacità dinamica di tale strumento) a scapito del clavicembalo e all'ampliamento dell'organico orchestrale, a sua volta legato alle ampie dimensioni delle nuove sale da concerto. • Viene notevolmente sviluppato anche l'aspetto timbrico, particolarmente attraverso l'uso di un numero maggiore di strumenti musicali dalle diverse e nuove sonorità; acquistano maggior importanza strumenti che in precedenza avevano scarso impiego (clarinetti, tromboni, arpa, percussioni); il musicista romantico sviluppa una particolare sensibilità alla autonoma capacità espressiva dei timbri sonori, intesi e utilizzati come “colori” da accostare, mescolare, ecc. • La forma e i modelli tradizionali del linguaggio musicale vengono “personalizzati” ogni compositore si sente libero di utilizzare gli schemi compositivi tradizionali (sonata, sinfonia, ecc.) in modo diverso, adattandoli alle proprie esigenze espressive. • Le leggi dell’armonia tonale tradizionale cominciano a vacillare di fronte all’uso spregiudicato di accordi dissonanti e di modulazioni inconsuete
Le composizioni sinfoniche
Cresciuta in grandezza (dai 40 esecutori dell'orchestra classica agli oltre 100 di quella romantica) e nella sua composizione, l'orchestra trova larghissimo impiego nella musica del primo Ottocento, oltre che nella musica operistica, nell'esecuzione di sinfonie. Quest'ultimo genere musicale viene ampiamente frequentato dai musicisti romantici che, pur mantenendo fermo lo schema generale della forma classica (quattro movimenti), concentrano la loro attenzione sulle possibilità timbriche dell'orchestra sinfonica (un'attenzione analoga a quella dedicata dai pittori romantici ai diversi effetti cromatici ottenibili mediante l'impasto dei colori). Dalla sinfonia si sviluppano nuove forme, come il poema sinfonico, brano orchestrale in un solo tempo in cui l'autore intende narrare eventi e situazioni presentate in un “programma” illustrativo (poesie, quadri, racconti, impressioni della natura). Questa forma fu coltivata soprattutto dai musicisti delle “scuole nazionali”. Tra i più importanti autori di sinfonie, poemi sinfonici e brani musicali orchestrali di questo periodo ricordiamo: l'austriaco Franz Schubert (1797-1828), i tedeschi Felix Mendelssohn (1809-1847) e Robert Schumann (1810-1856), l'ungherese Franz Liszt (1811-1886) e il francese Hector Berlioz (1803-1869).
Le composizioni pianistiche
Il pianoforte è lo strumento “romantico” per eccellenza e non solo perché‚ le sue caratteristiche tecniche (grande dinamica e sonorità, notevole estensione, cantabilità e possibilità timbriche) corrispondono alle esigenze espressive del musicista romantico, ma anche perché‚ esso diviene elemento costante nell'arredamento delle case borghesi e protagonista, così, di quella pratica musicale “amatoriale” che prende il nome di “musica da salotto”. E’ nei salotti borghesi del primo Ottocento che prende forma la vasta letteratura pianistica del periodo romantico, costituita soprattutto da brevi composizioni dalla forma e struttura libera frutto della creatività istintiva e travolgente tipica dell'artista romantico, il cui stesso titolo (Notturno, Improvviso, Scherzo, Scena infantile, Serenata) ne definisce il carattere intimo e salottiero. Parallelamente, nelle sale da concerto, un diverso uso del pianoforte viene finalizzato a evidenziare le capacità tecniche dell'esecutore, il suo “virtuosismo”. Tra i compositori e i pianisti di maggior spicco in questo periodo ricordiamo: il polacco Chopin (1810-1849) e ancora Schubert, Schumann e Liszt, quest'ultimo molto noto per la sua abilità pianistica.
Il Lied
Composizione caratteristica dell'Ottocento tedesco, il Lied (“canto”) testimonia il felice incontro tra le due espressioni artistiche più tipicamente romantiche: la musica e la poesia. La forma musicale del Lied, un canto in lingua tedesca eseguito da una voce solista con l'accompagnamento, generalmente del pianoforte, segue infatti l'andamento dei versi e delle strofe di un testo poetico, tratto dall'opera di grandi poeti romantici, ma spesso anche dal vasto patrimonio di canti e poesie popolari che proprio allora, nello spirito del recupero delle tradizioni nazionali, venivano raccolti. Anche il Lied, per le sue particolari caratteristiche musicali, ha come ideale ambiente di diffusione il salotto romantico borghese. Fra i più noti autori di Lieder ricordiamo: Schubert, Schumann, Mendelssohn e più tardi, Johannes Brahms.
Durante il Romanticismo la musica assunse una grande importanza; infatti, i pensatori romantici ritenevano che essa fosse la sola arte in grado di esprimere i sentimenti o le sensazioni più profonde dell’animo umano; anche le altre arti, come la letteratura o la pittura, potevano esprimere questi sentimenti, ma i loro mezzi (la parola, la figura, i colori, ecc.) erano limitati, e oltre una certa soglia non potevano andare. Dunque, tra le varie arti, la musica era considerata la regina, e tanto più lo era se si trattava di musica solo strumentale; infatti, la musica vocale, proprio perché legata alla parola e quindi ritenuta limitata, veniva considerata meno “espressiva” del genere strumentale. Da questo modo di vedere le cose nacque il concetto di “musica assoluta”; questa espressione indica il genere di musica esclusivamente strumentale, considerata, appunto, come l’arte perfetta, che riusciva ad esprimere anche i sentimenti più profondi dell’uomo. La musica romantica, quindi, si distinse per la profonda espressività, per il modo con cui cercò di dare intensità ai sentimenti, alle sensazioni ed alle immagini.
Rapporto con la società
L'affermarsi della borghesia e la decadenza dell'aristocrazia determina un profondo mutamento del ruolo del musicista e ne condiziona l'attività. Alla figura del musicista-dipendente (che esaudiva le richieste del principe mecenate o della corte da cui era mantenuto) si sostituisce quella del musicista-“genio romantico”, libero di esprimere se stesso senza vincoli di dipendenza. Tale libertà creativa comporta però anche aspetti problematici: da una parte viene meno la sicurezza economica propria della condizione precedente, dall'altra emerge la difficoltà di rapporto con il nuovo ed esigente “datore di lavoro”: il pubblico. Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, infatti, l'attività musicale si sposta progressivamente dalla corte aristocratica al teatro pubblico borghese, con ingresso a pagamento. E’ con questo pubblico, con i suoi gusti e le sue esigenze, molto più diversificate e mutevoli rispetto a quelle del pubblico aristocratico, che il musicista deve ora misurarsi e, spesso, scontrarsi. Da questo difficile rapporto con il pubblico dipendono, probabilmente, il pessimismo, la solitudine e la sensazione di incomprensione e di inutilità sofferti da molti artisti degli inizi dell'Ottocento.
Nella sua nuova posizione indipendente il musicista poteva guadagnarsi da vivere principalmente in tre modi: • vendendo e pubblicando le opere da lui composte; • suonando in concerti pubblici; • dando lezioni di musica ad una clientela privata.
Per molti musicisti quest’ultima soluzione fu quella che concretamente diede loro da vivere, poiché non era certamente facile comporre opere e pubblicarle, come dare concerti. Nella seconda metà del secolo, poi, parallelamente alla musica colta di salotti, circoli, sale da concerto e teatri, inizia a diffondersi un tipo di musica più leggera e ballabile, di derivazione popolare, consumata nei caffè concerto, o “cafè chantant”, locali pubblici nei quali si esibiscono attori comici, dicitori, cantanti e musicisti.
Caratteri generali
Anche se in modo molto schematico, è possibile individuare alcune caratteristiche peculiari della produzione musicale di questo periodo: • La melodia sviluppa ed accresce la sua importanza; l'idea melodica, il tema musicale, è il centro della musica romantica e presenta caratteristiche di semplicità ed estrema cantabilità; soprattutto all’interno delle “scuole nazionali” si diffonde l’uso di attingere al patrimonio di canti e melodie popolari tradizionali. • Dal punto di vista ritmico, si amplia la gamma dei tempi musicali impiegati diversi anche all'interno del medesimo brano; il rigore temporale e ritmico caratteristico della musica del Settecento viene superato anche attraverso un ampio impiego delle variazioni di velocità (“rallentando”, “accelerando”). • Si dilata la gamma di sfumature dinamiche, ottenendo così livelli di intensità sonora estremamente differenziati: dal “pianissimo” impercettibile al “fortissimo” assordante. Questo allargamento della dinamica si sviluppa parallelamente al diffondersi dell'uso del pianoforte (il cui nome è indicativo della capacità dinamica di tale strumento) a scapito del clavicembalo e all'ampliamento dell'organico orchestrale, a sua volta legato alle ampie dimensioni delle nuove sale da concerto. • Viene notevolmente sviluppato anche l'aspetto timbrico, particolarmente attraverso l'uso di un numero maggiore di strumenti musicali dalle diverse e nuove sonorità; acquistano maggior importanza strumenti che in precedenza avevano scarso impiego (clarinetti, tromboni, arpa, percussioni); il musicista romantico sviluppa una particolare sensibilità alla autonoma capacità espressiva dei timbri sonori, intesi e utilizzati come “colori” da accostare, mescolare, ecc. • La forma e i modelli tradizionali del linguaggio musicale vengono “personalizzati” ogni compositore si sente libero di utilizzare gli schemi compositivi tradizionali (sonata, sinfonia, ecc.) in modo diverso, adattandoli alle proprie esigenze espressive. • Le leggi dell’armonia tonale tradizionale cominciano a vacillare di fronte all’uso spregiudicato di accordi dissonanti e di modulazioni inconsuete
Le composizioni sinfoniche
Cresciuta in grandezza (dai 40 esecutori dell'orchestra classica agli oltre 100 di quella romantica) e nella sua composizione, l'orchestra trova larghissimo impiego nella musica del primo Ottocento, oltre che nella musica operistica, nell'esecuzione di sinfonie. Quest'ultimo genere musicale viene ampiamente frequentato dai musicisti romantici che, pur mantenendo fermo lo schema generale della forma classica (quattro movimenti), concentrano la loro attenzione sulle possibilità timbriche dell'orchestra sinfonica (un'attenzione analoga a quella dedicata dai pittori romantici ai diversi effetti cromatici ottenibili mediante l'impasto dei colori). Dalla sinfonia si sviluppano nuove forme, come il poema sinfonico, brano orchestrale in un solo tempo in cui l'autore intende narrare eventi e situazioni presentate in un “programma” illustrativo (poesie, quadri, racconti, impressioni della natura). Questa forma fu coltivata soprattutto dai musicisti delle “scuole nazionali”. Tra i più importanti autori di sinfonie, poemi sinfonici e brani musicali orchestrali di questo periodo ricordiamo: l'austriaco Franz Schubert (1797-1828), i tedeschi Felix Mendelssohn (1809-1847) e Robert Schumann (1810-1856), l'ungherese Franz Liszt (1811-1886) e il francese Hector Berlioz (1803-1869).
Le composizioni pianistiche
Il pianoforte è lo strumento “romantico” per eccellenza e non solo perché‚ le sue caratteristiche tecniche (grande dinamica e sonorità, notevole estensione, cantabilità e possibilità timbriche) corrispondono alle esigenze espressive del musicista romantico, ma anche perché‚ esso diviene elemento costante nell'arredamento delle case borghesi e protagonista, così, di quella pratica musicale “amatoriale” che prende il nome di “musica da salotto”. E’ nei salotti borghesi del primo Ottocento che prende forma la vasta letteratura pianistica del periodo romantico, costituita soprattutto da brevi composizioni dalla forma e struttura libera frutto della creatività istintiva e travolgente tipica dell'artista romantico, il cui stesso titolo (Notturno, Improvviso, Scherzo, Scena infantile, Serenata) ne definisce il carattere intimo e salottiero. Parallelamente, nelle sale da concerto, un diverso uso del pianoforte viene finalizzato a evidenziare le capacità tecniche dell'esecutore, il suo “virtuosismo”. Tra i compositori e i pianisti di maggior spicco in questo periodo ricordiamo: il polacco Chopin (1810-1849) e ancora Schubert, Schumann e Liszt, quest'ultimo molto noto per la sua abilità pianistica.
Il Lied
Composizione caratteristica dell'Ottocento tedesco, il Lied (“canto”) testimonia il felice incontro tra le due espressioni artistiche più tipicamente romantiche: la musica e la poesia. La forma musicale del Lied, un canto in lingua tedesca eseguito da una voce solista con l'accompagnamento, generalmente del pianoforte, segue infatti l'andamento dei versi e delle strofe di un testo poetico, tratto dall'opera di grandi poeti romantici, ma spesso anche dal vasto patrimonio di canti e poesie popolari che proprio allora, nello spirito del recupero delle tradizioni nazionali, venivano raccolti. Anche il Lied, per le sue particolari caratteristiche musicali, ha come ideale ambiente di diffusione il salotto romantico borghese. Fra i più noti autori di Lieder ricordiamo: Schubert, Schumann, Mendelssohn e più tardi, Johannes Brahms.
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